Dopo i robot di Elon Musk, ecco Phoenix, in grado di riprodurre perfettamente la gestualità umana. Anche Jeff Bezos ci si mette e distinguere l’uomo dalla macchina diventerà sempre più complicato (Marianne)

In materia di robot, l’orgoglio assoluto è poter dire della propria macchina che ha tutto di un umano. A volte si dice “quasi tutto”. A volte si sente “meglio di”. Ma il bello, lo snobismo dell’ingegnere, anche la sua hybris, è creare dell’umano, né meglio né peggio, altrettanto agile, altrettanto equilibrato su due gambe, capace di ragionare, ma anche di sbagliarsi in buona fede, di inciampare un po’, di inventare di nuovo da solo, di giocare, di ridere. La macchina deve, come il resto della società attuale, produrre emozione. Allora i miliardari si prendono per dei e si battono per venderci il più umano dei robot, fisicamente e psichicamente.

Così, la società canadese Sanctuary AI presenta il suo androide Phoenix. In un video di presentazione, si vede il robot seduto davanti a un tavolo. L’esercizio è semplice: deve prendere dei bicchieri posizionati al centro e distribuirli su due vassoi, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. E via. Le sue spalle, le sue braccia, i suoi polsi si dispiegano e si attivano in una serie di movimenti troppo rapidi per essere scomposti senza rallentare il filmato, le sue dita (cinque all’estremità di ogni mano) si muovono come quelle di un pianista virtuoso (lo si vedrebbe senza difficoltà anche suonare la chitarra), afferra i sei bicchieri e li posa delicatamente in base al loro colore, da un lato o dall’altro. Incredibile. Nessuna esagerazione, nessuna acrobazia. Prendere dei bicchieri, poggiarli. Sipario. Fine dello spettacolo. Ed è proprio questa banalità che colpisce. Non è una pinza, non è un magnete, sono proprio delle mani banali che compiono azioni banali, che qualsiasi essere umano sano di mente potrebbe fare con altrettanta facilità, a partire dall’età di 18 mesi. E proprio qui emergono alcune caratteristiche. La velocità, in particolare, e di fronte la scritta: “human-like”.

Secondo tentativo, tutto funziona bene, stesso balletto di dita che tolgono i bicchieri e li posano. Ma, ops! L’ultimo atterra sul vassoio, è del colore giusto, ma senza dubbio Phoenix lo ha lasciato cadere un po’ pesantemente, il bicchiere rotola sul lato. Capita. “Human-like”. Tutti gli sforzi dei ricercatori sono stati tesi proprio verso questo obiettivo: imitare l’imperfezione umana. In particolare, per Phoenix, le decine di mini-movimenti delle dita e della mano. Lo vedremo presto rammendare calzini, stringere la mano ai suoi colleghi, giocare a scacchi spingendo lui stesso i pezzi, dipingere una tela tenendo il pennello, infilare il filo nella cruna di un ago – scopriremo senza dubbio che l’androide è stato dotato di una lingua per tirarlo leggermente e concentrarsi meglio -, forse potrà rollarsi una sigaretta, indicare una direzione o il suo dito medio. O girarsi i pollici. Quanti soldi spesi, comunque, quanta energia sprecata, tutto questo per sostituire gli umani… con altri umani.